lunedì 8 aprile 2019

Krishna obbedì al Dharma? Dubbi e soluzioni

Quello che segue è la traduzione(*) di un articolo comparso su Exoticindia.com a firma di Nitin Kumar. Trovare qui il testo originale in inglese.
Ringrazio gli amici di exoticindia.com che mi hanno autorizzato a tradurre e diffondere i loro articoli. 
I wish to thank the dear friends of exoticindia.com who have authorized me in translating and spreading their articles.

(*) Sarò grato a quanti, rilevando una qualunque inesattezza nella traduzione, volessero farmela gentilmente notare in modo apporre le dovute correzioni.


Krishna è senza dubbio il Dio supremo, tuttavia molte delle sue azioni, durante il suo avatar sulla terra, sono difficili da conciliare con il fatto che lo scopo dichiarato della sua incarnazione è stata la salvaguardia del Dharma. Il dubbio più comune per quanto riguarda il Signore Krishna è riportato come segue:

Dubbio: Ci sono seri dubbi circa le azioni del Signore Krishna nella guerra del Mahabharata. Prima ancora che la guerra cominciasse Arjuna espresse il nobile sentimento di disgusto per la guerra e desiderava diventare un sannyasi. Il Signore Krishna aveva in quel momento, l'occasione perfetta di prevenire la guerra e il conseguente massiccio spargimento di sangue. Ha scelto invece di dissuadere Arjuna e gli consigliò di andare in guerra. Non solo, in molti luoghi Krishna consiglia non eticamente Arjuna e i suoi fratelli di uccidere i loro nemici. Tutti i più forti guerrieri dell'esercito opposto, Bhishma, Drona, Karna e Duryodhana, sono stati uccisi con trucchi sleali su suo consiglio. Come possiamo comprendere queste azioni?

Risposta: Questa è una domanda appropriata, e la risposta inizia con l'analisi delle circostanze che hanno portato alla guerra del Mahabharata. Duryodhana non solo aveva usurpato il regno dei Pandava (Arjuna e i suoi quattro fratelli), ma anche li bistrattò nei modi più ignobili. La più vile delle sue azioni  fu ciò che è inaccettabile per la società indiana, a qualsiasi livello - cercò di spogliare la regina Draupadi, la moglie dei cinque fratelli Pandava, nel corso di una grande assemblea. 
C'erano molti anziani seduti in assemblea, mentre quella ignominia veniva messa in pratica, ma tutti tacquero. Infatti persone molto nobili presenti in quell'assemblea, come Bhishma e Drona, erano senza dubbio pienamente consapevoli dei crimini efferati di Duryodhana. Avevano avuto la possibilità di controllarlo, ma non lo fecero. La ragione per la loro inazione era cheessendo il loro re, vivevano del suo cibo. Per questo motivo andarono anche a combattere in battaglia per lui. La gratitudine verso colui che ci da' sostentamento è, naturalmente, una grande virtù, ma ciò non significa che egli debba essere supportato anche nel suo Adharma. Tutto questo ci dà una indicazione di quanto la società fosse profondamente degradata sotto il dominio di Duryodhana. Il fatto che idee sbagliate sul Dharma animassero anche persone stimate come Bhishma e gli altri, non deve sorprenderci se certi comportamenti fossero molto peggio presso il resto della popolazione. Questo è Adharma al suo culmine, una situazione inaccettabile per il Signore Krishna.

Torniamo ora ad Arjuna sul campo di battaglia. Data una tale situazione imposta da Duryodhana, è assolutamente sbagliato per chiunque adottare un atteggiamento di negligenza o di un complesso di paura, tanto più per uno Kshatriya esso stesso vittima come Arjuna. Il suo Dharma è quindi rivolto al bene più grande, e nel contesto prima di lui, era di sradicare Adharma. anche se ciò avesse richiesto una guerra a tutto campo.

Pertanto, lo stato mentale di Arjuna appena prima della guerra non può affatto essere descritto come nobile; al meglio è uno stato confuso. Bhagavan Krishna lo educò sullo scopo della vita nel suo insieme e poi lo ha preparato a realizzarlo conducendo la guerra. 


La questione successiva è sui meriti militari delle forze del Dharma e Adharma - vale a dire dei Pandava e Kaurava, la famiglia a cui apparteneva Duryodhana. L’esercito di questi ultimi era molto superiore a quello dei Pandava, sia quantitativamente che qualitativamente. In realtà, l'esercito Kaurava era una volta e mezzo più grande. Il possente Bhishma aveva il vantaggio di scegliere il proprio momento della morte; Drona era il maestro dei Pandava, che erano solo i suoi allievi. Karna e Duryodhana erano superiori in valore rispetto ad Arjuna e Bhima. Come potevano essere loro ad essere affrontati dai Pandava? È stata la lotta del Dharma contro l'Adharma. In questo modo l'etica, anche se è importante di per sé, diventa secondaria rispetto all’obiettivo che s’intende raggiungere.
Si consideri un esempio: un delinquente corre all’impazzata in auto dopo aver commesso crimini efferati. Il poliziotto sulle sue tracce rompe tutte le regole del traffico inseguendolo. Normalmente il suo dovere di multare uno che viola le regole del traffico. Ma adesso? Solo uno sciocco direbbe che debba essere multato per aver violato le regole del traffico. Allo stesso modo in guerra o nella vita in generale, ci sono livelli di valori per cui, se capita che due siano in conflitto, si dovrà sacrificare il valore inferiore per il bene di quello più alto. Questo è esattamente ciò che il Signore Krishna ha fatto. Quindi, non dobbiamo mai commettere l'errore di trovare difetti in Rama o Krishna o nelle scritture in generale. È molto difficile per la gente comune come noi comprendere le sottigliezze e le sfumature del Dharma. Pertanto Rama e Krishna sono nati con lo scopo specifico di educarci al riguardo.

Ulteriore dubbio: Le medesime scritture sulle quali giurate rendono obbligatorio anche che il piacere coniugale sia ristretto ad una sola moglie; Come mai dunque il Signore Krishna indulge in giochi amorosi con le gopi di Vrindavana che erano sposate con qualcun altro?

Risposta: questo è un grossolano malinteso a proposito del Signore Krishna. La sua chiarificazione inizia con un breve riassunto del Rasa Lila come descritto nel grande testo Srimad Bhagavatam. Nel cuore della notte, nella foresta, Krishna suonava una melodia col suo flauto. Le gopi lo udirono, ne rimasero attratte intensamente e corsero all'istante verso la foresta, lasciando qualsiasi cosa stessero facendo. Alcune smisero di cucinare, chi serviva del cibo, come chi mangiava, si fermò, altre smisero di lavare i vestiti e si diressero verso la musica. Nel momento in cui le gopi lo raggiunsero nella foresta, Krishna chiese: "Cosa vi porta qui? Di quale aiuto avete bisogno?" Esse chinarono la testa senza rispondergli. Poi disse: "Non è sbagliato per le nobildonne come voi incontrare qualcuno diverso dai vostri mariti in quest'orario inusuale?" Ed esse, piangendo, risposero: "Krishna, siamo venute con grande difficoltà per unirci a te qui, non dovresti rifiutarci in questo modo". quindi si degnò di giocare a Rasa con loro tra i fiori di loto. Alla fine della narrazione di questo episodio fatta dal saggio Shukadeva, Parikshit, che l'ascoltava, espresse lo stesso dubbio che è stato espresso all'inizio. Al che Shukadevaji rispose: "Tejiyasam Na Doshaya", ovvero: Nessun difetto in questo per i Tejiyan", e concluse che in effetti, il mattino dopo i mariti videro le gopi dormire semplicemente a fianco a loro. Quindi il chiarimento dipende dalla parola "Tejiyan" e il suo significato dovrebbe essere internamente coerente con la descrizione di Rasa. Si noti che nessuno avrà lavato vestiti o cucinato nel cuore della notte. Anche la mattina dopo i loro mariti videro le gopi dormire sul loro fianco. Questo ci fa supporre che il Rasa fosse un sogno. Ciò è confermato come segue: Tejiyan significa "più brillante" secondo la grammatica di Pànini. Chi è più brillante di chi? Le Upanishad chiamano Jiva, colui che vigila, come Vishwa e Jiva, colui che sogna, come Taijasa. Questo Taijasa è più brillante (tejiyan) di Vishwa. Pertanto, la risposta di Shukadeva significa che non c'è colpa nelle attività svolte in sogno dalle gopi. Questo è esattamente ciò che dice la Brhadaranyaka Upanishad. Del resto, lo sa bene ognuno di noi tutti, nessuno depreca nessuno per gli errori commessi da lui nei suoi sogni. Perché? Il mondo esterno tiene la mente al guinzaglio nel nostro stato di veglia. La mente diventa però totalmente libera durante i sogni e mescola le esperienze del mondo reale con la sua immaginazione creando il sogno, dove il ragazzino Krishna può comportarsi come un adulto, e i fiori di loto possono sbocciare nella notte. Tuttavia, Egli dovette prima ammonire le gopi per la loro condotta!






domenica 2 settembre 2018

Tempo fa mi è capitato di sentire delle opinioni strane a proposito delle nuvole accostate all'Ayurveda. Mi fa piacere condividere con te questi versi tratti dalla Chandogya Upaniṣad(*) la cui resa dal sanscrito è a cura di Pio Filippani Ronconi.

In questi mondi bisogna riconoscere un quintuplice sāman:
la terra è come la lettera him,
il fuoco il prastāva,
l'atmosfera l'udgītha,
il sole il pratihāra,
il cielo il nidhana,
così dal basso verso l'alto procedendo.

In tutte le acque bisogna riconoscere il quintuplice sāman.
Allorché le nuvole si ammassano vi è la lettera Him,
quando piove vi è il prastāva,
le acque che corrono verso l'est sono l'udgītha,
le acque che scorrono verso l'ovest sono il pratihāra,
l'oceano è il nidhana.


(*) Chandogya Upaniṣad, 2a lett. II, IV




giovedì 16 marzo 2017

GARANTIRE LA LIBERTÀ DI CURA PER TUTTI: NO AL "PENSIERO UNICO" IN MEDICINA!



Se stai visitando questo blog, anche se per la prima volta, è perché sei interessato al tema della Medicina Non Convenzionale (MNC in italiano, NCM in inglese).
Ti invito a offrire la tua firma per questa importante petizione. Leggi QUI il testo.

giovedì 23 febbraio 2017

La sera di San Valentino sono stato ospite di 432Hz, un programma di Radio Atlanta Milano condotto in diretta da Lara Bossi e Mattia Placanica.
Si è parlato della mia esperienza di vita da Terapista Ayurveda.

Per riascoltare la trasmissione...

domenica 5 aprile 2015

Varna: i quattro pilastri del Dharma

Quello che segue è la traduzione di un articolo comparso su Exoticindia.com a firma di Nitin Kumar. Trovate qui il testo originale in inglese

Nota del traduttore: Questo articolo affronta un tema quanto mai affascinante. La parola sanscrita Varna può essere tradotta letteralmente come "colore". La Baghavad Gita ci aiuta a fare chiarezza su un argomento spesso travisato nel nostro mondo occidentale attraverso l'improprietà del termine "casta".
Sarò grato a quanti, rilevando una qualunque inesattezza nella traduzione, volessero farmela gentilmente notare in modo apporre le dovute correzioni.

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Varna: i quattro pilastri del Dharma

Ogni attività umana è diretta verso la realizzazione di ciò che è piacevole per la persona e verso ciò che previene la sofferenza. Piacere e dolore variano da persona a persona e di volta in volta. Nessuno può dire con certezza quando riceverà queste sensazioni da qualcuno perché non può essere deciso dalle nostre limitate facoltà umane. Neanche la persona più intelligente può, sulla base di una circostanza individuale, dare un'esatta sequenza di comportamenti utili al conseguimento del piacere o alla prevenzione della sofferenza. Allo stesso modo nessuno può prevedere con esattezza quando gli sforzi tesi verso questi obiettivi daranno i loro frutti. Il raggiungimento di essi non dipende unicamente dallo sforzo che indirizziamo verso questi obiettivi, ma anche dal Karma che ereditiamo dalle vite precedenti e dal destino. La causa esatta di piacere e sofferenza non può pertanto essere determinata con uno qualunque dei mezzi di percezione diretta. In realtà un individuo non avrebbe nemmeno la capacità di sapere cosa è meglio per lui. Il percorso verso il progresso, sia materiale che spirituale, può quindi essere conosciuto solo attraverso

lunedì 23 febbraio 2015

Ganga, la dea fiume

Quello che segue è la traduzione di un articolo comparso su Exoticindia.com a firma di Nitin Kumar e di cui potete trovare qui il testo originale in inglese.  

Nota del traduttore: per la mitologia indiana il sacro fiume Gange è una figura femminile e così viene ancora riportata nella letteratura in lingua inglese. La tradizionale nomenclatura italiana si limita a considerarne esclusivamente l’essere fiume e volge il suo nome al maschile. Ho scelto pertanto di mantenere il genere femminile e il nome originario, Ganga, perché diversamente sarebbe stato difficile trasmettere i molti passi della narrazione legati agli aspetti propri del femminile. 
Sarò grato a quanti, rilevando una qualunque inesattezza nella traduzione, volessero farmela gentilmente notare in modo da apporre le dovute correzioni.

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Ganga, la dea fiume. Racconti tra arte e mitologia.



Nell'India del XVII secolo, un poeta bramino, di nome Jagannatha, trascendendo i limiti della sua casta si innamorò di una ragazza musulmana. I venerabili anziani della sua stirpe immediatamente lo esclusero dai circoli sacri del suo ambiente sociale. Jagannatha, essendo un devoto indù, fece del suo meglio per spiegare e convincere gli anziani della sacralità suprema del sentimento dell'amore, sottolineando come fosse al di là di tutte le divisioni fatte dall'uomo. Viaggiò fino a Varanasi (Benares), la più sacra tra le città dell'induismo, per tentare di ripristinare il suo status tra i suoi fratelli. Trovandosi di fronte a un rigido rifiuto, meditò sulle rive di Ganga, invitandola a confermare la purezza e la rettitudine della sua scelta. Lo sconsolato bardo giunse fino alle rive di Ganga e si sedette in cima ai cinquantadue gradini della scalinata che si affaccia sul fiume. Da quel maestoso trespolo, ammirando la visione splendente del possente fiume, si commosse al punto da comporre cinquantadue versi ricchi di sentimento dedicati al fiume. La leggenda narra che alla composizione di ogni versetto il fiume salisse di un gradino, portando via il poeta alla fine dell'ultimo inno. 

La raccolta di poesie di Jagannatha è intitolata “Ganga-Lahiri” o “Le onde di Ganga”. Nei suoi versi, il poeta si rivolge al fiume come ad una madre consolatrice e sostenitrice. Un tipico inno è il seguente: 
Vengo a te come un bambino a sua madre. 
Vengo a te come un orfano, intriso d'amore. 
Vengo a te senza rifugio, datore di riposo sacro. 
Viene a te un uomo caduto, oh alleviatore di tutti. 
Vengo a te sfatto dalla malattia, oh medico perfetto. 
Vengo a te col cuore asciugato dalla sete, oceano di dolce vino. 
Fa' di me ciò che desideri. 

Un fiume che ispira una tale eccezionale e pia devozione creativa deve essere davvero particolare. In verità Ganga è al centro della sacra sapienza e tradizione indù da tempo immemorabile. La considerazione di cui gode e la sua conseguente deificazione come una donna vera riecheggia di filosofia e di saggezza senza tempo.

Cercheremo qui di comprendere la meraviglia di Ganga nei seguenti contesti: 
1). Ganga e le acque purificatrici del Cielo 
2). Discesa di Ganga alla Terra dal Cielo 
3). Ganga come Madre 
4). Iconografia di Ganga 
5). Ganga e il tempio indù

Ganga e le acque purificatrici del Cielo

Nella tradizione indù si offre venerazione a quasi ogni fiume del subcontinente indiano. Questa devozione si ritrova a ritroso nel tempo fino al Ṛg Veda, il testo più antico del mondo, dove si dice che tutti i fiumi della terra abbiano origine nei cieli. Nella cosmologia del Ṛg Veda, la creazione del mondo, o il processo per rendere il mondo abitabile, è associato alla liberazione delle acque celesti per opera di Indra, il re degli dei. Si narra che un demone avesse rifiutato queste acque, inibendo così la creazione. Quando Indra sconfisse questo demone, le acque si precipitarono sulla terra, come una mucca desiderosa di allattare i suoi piccoli (Ṛg Veda 10, 9). I fiumi della terra sono quindi visti come necessari alla creazione e come aventi un’origine celeste.

Un altro aspetto importante nella venerazione per i fiumi è la qualità purificante dell'acqua corrente in generale. La purezza-coscienza del sistema sociale indù, in cui le impurità si accumulano inevitabilmente nel corso di un giorno qualunque, prescrive un bagno, come modo più semplice per liberarsene. Questo atto consiste semplicemente nel versare sulla testa dell'acqua fredda nelle mani unite a coppa e farla scorrere giù per il proprio corpo. Sia che l'acqua si agiti, scorra o cada si ritiene abbia un grande potere detergente. Questo è esemplificato in special modo nell'atto dell'aspersione dell'acqua sopra la testa o con l'immersione in un ruscello che scorre. Queste semplici azioni verranno considerate come sufficienti per rimuovere la maggior parte dei tipi di impurità quotidiane accumulate durante tutto il normale corso dell'esistenza umana.

L'acqua assorbe le impurità e quando è in movimento, come in un fiume, le porta via con sé. La parola “Ganga” deriva dalla radice etimologica “gam”, che significa “andare”. Infatti, Ganga è il “rapido-corridore” e la sua circolazione, il suo scorrere e il movimento energico delle sue acque è costantemente citato come una le ragioni principali dei suoi attributi purificanti.

Come il fiume Ganga scese dai regni sacri sulla terra è narrato qui di seguito.

La discesa di Ganga alla Terra dal Cielo

Nella eterna lotta tra il bene (gli dei) e il male (i demoni) quest'ultimi presero il sopravvento. Impiegando un’ingegnosa strategia, i demoni rimasero nascosti nel mare durante il giorno e attaccavano solo durante la notte. Gli dei, così vessati e in preda alla disperazione, si appellarono al celebre saggio Agastya, che risolse il problema inghiottendo tutto l'oceano in una volta.
Lasciati così allo scoperto, i demoni vennero facilmente sconfitti.
A compimento della missione, gli dei chiesero ad Agastya di ridare libertà all'oceano, ma alla sua replica sbalordirono. Emettendo un fragoroso rutto, Agastya rispose che il mare che aveva mangiato era ormai completamente digerito, e quindi si sarebbe dovuto trovare qualche altro mezzo per riempire il fondo dell'oceano. Di nuovo gli dei e i popoli del mondo erano inorriditi. Perplessi, si avvicinavano al Signore Vishnu, il salvatore del mondo, che portò loro una buona notizia. Vishnu disse di non preoccuparsi in quanto, secondo destino, Ganga, il fiume celeste, sarebbe fluito sulla terra placando così la sete, sia fisica che spirituale, dei suoi abitanti, e riempito l'oceano inaridito. Quando tutti chiesero quando ciò sarebbe successo, il Grande Signore li tranquillizzò dicendo che tutto sarebbe avvenuto a seguito di una felice confluenza di circostanze propizie, il cui processo era già iniziato.

Infatti, in un lontano angolo del mondo, un potente re di nome Sagara stava officiando un importante rito sacrificale che lo avrebbe reso l’incontrastato governatore di tutte le terre. Non sapeva assolutamente che il suo destino sarebbe stato quello di divenire strumento per compiere un dramma cosmico che sarebbe stato decretato altrove.

Il rituale consisteva nel lasciare libero di vagare ovunque sulla terra un cavallo bianco che sarebbe stato seguìto dal potente esercito di Sagara. Ovunque il cavallo si fosse avventurato, il re di quel territorio gli avrebbe lasciato via libera e avrebbe accettato la  sovranità di Sagara, offrendogli doni materiali in segno di supplica. Qualora ciò non fosse successo, l’esercito di Sagara sarebbe stato libero di sfidare il governatore che avesse commesso quell’errore. Non c’è dunque da sorprendersi se di fronte al prestigio e al potere di Sagara nessun governatore si oppose al cammino del cavallo.

La notizia dell’incombente vittoria di Sagara giunse alle orecchie di Indra, il re degli dei. Temendo una sfida rivolta al suo stesso trono, Indra trasfigurò in forma umana, scese sulla terra e stese le sue mani sul cavallo sacrificale. Prendendolo per le redini, si nascose nell’eremo del saggio Kapila. Egli era uno yogi di grande esperienza il cui essere interiore fu reso straordinariamente potente da lunghi periodi di profonda ascesi.

Non molto tempo prima le armate del re Sagara condotte dai suoi figli, che secondo una leggenda sarebbero stati in numero di sessantamila, rintracciarono il cavallo presso il ritiro dell’asceta. I prìncipi percepirono la temerarietà del saggio che li rese furibondi e si precipitarono verso di lui in un impeto di rabbia dandogli del ladro. Il saggio, che fino a quel momento sedeva imperturbabile e inconsapevole di tutto ciò che si svolgeva alle sue spalle, venne distolto dalle sue meditazioni. 
Aprendo gli occhi, egli aveva semplicemente guardato i prìncipi con trepidazione, e in meno che non si dica vennero ridotti in cenere.

Il re Sagara fu ben presto raggiunto dala notizia della sventurata morte dei suoi figli. Ora, secondo la tradizionale credenza indiana, se qualcuno muore prematuramente rimane un fantasma e non viene liberato finché non si fa qualcosa per purificare l'anima dal residuo dei suoi peccati accumulati. Sagara anche, era estremamente desideroso di liberare le anime dei suoi figli dalle conseguenze della maledizione del saggio Kapila. Essendo stato interrogato, questo informò il monarca che solo Ganga, avendo la natura di buon auspicio di purificare chiunque avrebbe attraversato il suo corso, sarebbe stato in grado di liberare i suoi sessantamila figli, e lavare via le loro ceneri nel suo flusso travolgente.

Udito questo, il re Sagara immediatamente abdicò in favore del nipote superstite e si ritirò alle pendici dell’Himalaya per vivere in austerità onorando Brahma, il Creatore Supremo, nel tentativo di convincerlo a persuadere Ganga affinché rifluisse verso terra. Non ostanti i suoi strenui e sinceri tentativi, Sagara morì prima di veder esaudite le sue suppliche. Dopo di lui anche il nipote provò ad invocare Brahma, ma senza alcun successo. In questo modo generazioni si susseguirono nel tentativo di corteggiare e pregare Brahma, ma inutilmente. Solo il settimo discendente di Sagara, un re giusto e nobile di nome Bhagiratha, che sarebbe riuscito ad essere austero abbastanza da far apparire davanti a lui Brahma. Compiaciuto del comportamento di Bhagiratha e dei suoi antenati, Brahma chiese dunque a Bhagiratha di esprimere qualsiasi suo desiderio. Naturalmente egli chiese di supplicare Ganga affinché, dalla sua attuale dimora in cielo, fluisse nuovamente verso la terra. Brahma acconsentì, ma informò il principe che, poiché Ganga scorreva con una forza torrenziale, se avesse percorso direttamente il mondo terrestre la terra sarebbe stata impotente contro la sua corrente travolgente, e tutta la vita sarebbe stata spazzata via dall’alluvione. L'unica soluzione che si offirva era pregare il Signore Shiva, i cui capelli arruffati avrebbero avuto potere sufficiente da resistere all'assalto della rovinosa caduta di Ganga.

Il principe iniziò così un'altra severa penitenza, che questa volta diresse verso il Signore Shiva, che apparve quindi al suo cospetto accettando di attenuare la caduta di Ganga tra le sue ciocche di capelli arruffati. Dopo aver legato tutti i capelli sciolti, e acquisendo la grazia sia da Brahma che da Shiva, Bhagiratha ora si sentiva sicuro di realizzare il suo obiettivo. C'erano però ancora ostacoli da superare sul suo cammino, prima di poter risolvere tutti i problemi con successo.

Ganga è visualizzata nel pensiero indiano come una virtuosa, ma anche maliziosa e irrequieta fanciulla, così come sono molte giovani. Pur obbedendo all’ordine di Brahma di scendere sulla terra ella non poté resistere alla sensazione giocosamente ingiustificata e immeritata che avrebbe potuto, con la sua attuale forza, spazzare via anche il potente Shiva. Questi, controllando i suoi pensieri, decise di darle una lezione. Sparse le spire serpentine dei suoi capelli a coprire tutto il cielo, e raccolse tutte le ondate di Ganga tra i suoi riccioli così spiegati.

Quindi, con un rapido gesto, raccolse i suoi capelli legandoli in una ordinata e stretta crocchia catturando Ganga tra gli infiniti riccioli e boccoli dei suoi capelli. Ganga ancora fluì con forza tremenda, ma non potendo più scappare, rimase imprigionata e confinata tra i capelli di Shiva.

Bhagiratha, perplesso per quanto accaduto, fece appello a Shiva che rilasciasse Ganga in modo che potesse lavare i peccati dei suoi antenati, simbolizzati dai loro resti mortali. Shiva allentò la presa, dato che Ganga aveva ormai imparato la lezione. Fu così che Ganga seguì ancora Bhagiratha, che le mostrò la via, ma altre vicende stavano per prepararsi.

Proprio vicino alla destinazione finale si ergeva l’eremo di un altro compiacente saggio, il cui nome era Jahnu. Ganga, da fanciulla giocherellona, corse subito verso ciò che le appariva come un nuovo posto che le destava curiosità. Ed ecco, aveva appena varcato il recinto dell'ashram, che questo si allagò, e tutti i fuochi sacrificali si spensero. Gli utensili rituali e gli strumenti furono spazzati via, e gli abitanti del santuario furono colti da spaventato e ansia. Il rettore dell'ashram, il saggio Jahnu, divenne livido per l'intrusione di Ganga. Quindi cantò un mantra, e bevve un sorso di acqua che scorreva tutt’intorno al suo eremo. Con la potenza del suo mantra, ingoiò Ganga con tutte le sue acque. Tutte le tracce di Ganga scomparvero. Bhagiratha era nei guai. Aveva appena superato un ostacolo, che un altro era stato creato, soprattutto a causa dell’impulsività e irrequietezza di Ganga. Si affrettò verso Jahnu spiegandogli la grandezza e l'importanza del compito che stava per compiere. Jahnu fu comprensivo, gli diede udienza e apprezzò il suo duro lavoro per condurre Ganga al regno terreno. Consolò Bhagiratha con queste parole: "Per te, io lascerò andare Ganga immediatamente". Così dicendo inferì un taglio alla coscia sinistra e le acque di Ganga scaturirono come una fontana. Per questo motivo Ganga è conosciuta come Jahnvi, la figlia del Saggio Jahnu.

Fortunatamente, lungo la rimanente strada non sorsero ulteriori imprevisti, e Bhagiratha poté mostrare a Ganga il cammino per raggiungere le ceneri dei suoi antenati. Appena ella toccò le ceneri gli antenati risorsero e ascesero al cielo fiammeggianti nei loro corpi astrali. Portando via le loro spoglie mortali, Ganga si fuse nell'oceano, che fino ad allora era rimasto asciutto. Da quel giorno in poi, l'oceano divenne noto come “Sagara”, in onore del re da cui tutto ebbe inizio. Il luogo in cui Ganga si fonde nel mare, divenne noto come a Ganga-Sagar, e fino ad oggi, una grande festa si svolge qui ogni anno, per festeggiare il compleanno di Ganga, o il giorno in cui si diffuse sulla terra. Questa festività è conosciuta come a Ganga Dassehra.

Questa leggenda fa ampia chiarezza su come la purezza ben augurante di Ganga scaturisce in non piccola misura dalla sua vicinanza alle varie divinità e agli importanti saggi santi. Cadendo sulla testa di Shiva, dove si snoda attraverso i suoi riccioli aggrovigliati, la possente Ganga appare in questo mondo dopo essere stata resa più sacra dal suo diretto contatto con Shiva, e anche l'asceta Jahnu compiuto.
Il fiume diffonde poi la potenza divina di queste personalità consacrate nel mondo, quando si getta nel regno terrestre.

La caduta di Ganga dal cielo viene replicata quotidianamente in milioni di templi indù, dove l'acqua del fiume Gange è versata sopra il Shiva Linga sacro. Qui è importante notare che il linga di Shiva è spesso pensato come una colonna incandescente di fuoco. Con il raffreddamento del linga con le sue acque lenitive, Ganga rappresenta in un certo senso il salvataggio del mondo dall’ardente linga di Shiva, il cui calore estremo potrebbe distruggere ogni forma di vita sulla terra.
Tenendola sulla testa, Shiva diventa così il facilitatore che mitiga la caduta di Ganga sulla terra. Ma se Shiva salva il mondo dal potere e dalla forza torrenziale di Ganga, è anche Ganga che, analogamente, ci salva dai cocenti poteri distruttivi di Shiva.

Un'altra leggenda associa Ganga a tutte le tre divinità della triumurti indiana, Brahma, Vishnu e Shiva. Inizia con il celeste saggio Narada, che si distingue per la sua Veena, strumento musicale simile al sitar, che porta costantemente a tracolla.

Un cantante sguaiato, amava cantare salmi sacri durante i suoi soggiorni in tutto il cielo. Un giorno, nella foresta, si imbatté in un gruppo di esseri sovrannaturali, contorcendosi in un’agonia incontrollabile. Interessato e incuriosito, il saggio si avvicinò e cercò di comprendere quale fosse la causa della loro sofferenza. Le loro risposte lo  completamente lo pavimentate. A quanto pare, queste creature in pena erano le personificazioni dei vari raga (modi musicali). Narada, attraverso la suo orribile canto, tormentava le loro anime e spiriti, provocando quindi la loro agonia. Il cuore compassionevole di Narada fu mosso a fargli promettere che non avrebbe più cantato o suonato prima di aver imparato ogni delicata espressione. La preoccupazione più urgente però, era la condizione dei raga, che chiedevano soccorso immediato.

C'era una sola via d'uscita. Bisognava organizzare, senza ulteriori indugi, un concerto tenuto da un musicista prefetto, la cui anima e sapienza avrebbe raggiunto il cuore dei raga, curandoli e guarendoli. Tale musicista perfetto non poteva che essere il Signore Shiva. Shiva naturalmente non aveva riserve sul dare un concerto improvvisato, ma per la sua musica perfetta, aveva bisogno di un ascoltatore perfetto, che avrebbe potuto apprezzare e cogliere le sottili sfumature dei suoi deliziosi virtuosismi. Chiese quindi a Brahma e Vishnu di essere il suo pubblico i quali prontamente accettano. Chi non l’avrebbe fatto?

Non appena Shiva suonò la sua prima nota, i raga cominciarono a guarire. La sua musica aveva un effetto visibile anche suoi divini ascoltatori. Identificandosi totalmente con le note morbide e coinvolgenti della sinfonia di Shiva, Vishnu iniziò in realtà a fondersi egli stesso. Notando questo, Brahma decise di raccogliere tutto il liquido  che colava da Vishnu e lo depositò nella sua pentola di acqua (Kamandalu). Successivamente, con questo liquido, plasmò una bella e affascinante ragazza. Questa ragazza, nata in circostanze di così buon auspicio, era ella stessa particolarmente raffinata e ogni cosa che entrava a contatto con lei veniva purificata. Era Ganga.

Ganga come Madre
Un motivo particolarmente ispirante è la visualizzazione di Ganga come madre, che è reso esplicito nel epiteto 'Ma Ganga' (Ma  significa madre), e che senza dubbio è il termine più popolare e accattivante utilizzato per nominarla. Come madre, Ganga è tangibile, accessibile, e accetta ogni cosa. Per dirla con le parole immortali di David Kinsley, "Lei è l'essenza distillata della compassione in forma liquida." A nessuno si nega la sua benedizione.

L'aspetto materno di Ganga è nota soprattutto nelle sue qualità nutritive. Come madre, lei nutre la terra attraverso la quale scorre, rendendola fertile. Storicamente, la terra, lungo le rive del Gange è stata intensamente coltivata. È particolarmente fertile a causa dei sedimenti depositati periodicamente dalle piene del fiume. Un parallelo è spesso disegnato qui con il flusso mestruale nelle donne, che rende il Saggio Narada una donna fertile, e capace di generare.

Un esempio suggestivo della capacità materna di Ganga viene narrato nel mito  che descrive la nascita del secondo figlio di Shiva, Karttikeya. La storia racconta che un potente demone un giorno rase al suolo il mondo e le vittime così oppresse giunsero alla conclusione che solo un figlio nato dal potente Shiva lo potesse redimere. pregarono quindi Shiva. Egli accettò e dapprima offrì il suo seme a Agni (dio del fuoco). Anche Agni però trovò il seme di Shiva troppo caldo per poterlo ricevere e lo gettò quindi nelle acque di Ganga, dove si sviluppò in un feto. Per questo motivo Karttikeya è anche chiamato Gangaputra, figlio di Ganga. E, infine, c'è la cruda verità di noi a guardare. Nessun bambino è troppo sporco per non poter essere abbracciato o purificato dalla madre. Madre Ganga purifica indiscriminatamente i suoi devoti, siano essi virtuosi o peccaminosi. Lei è non giudicante e tutti i suoi figli sono uguali ai suoi occhi.

L’iconografia di Ganga:

Nei canoni dell'arte indiana, Ganga è visualizzata come tutte le altre principali dee indiane, voluttuose e bellissime. I loro ampi seni, le anche robuste e atte alla maternità danno adeguata testimonianza dei loro fecondanti poteri.

Oltre a questo altri due motivi importanti adornano l’immagine di Ganga. Il primo è la pentola piena che tiene tra le sue mani. Questo è un simbolo del grembo che dà sostegno e tiene in sé la forza della vita. Una donna è come questo vaso, portando in sé l’essenza vitale e palpitante. Il piatto straripante è la grazia della natura in abbondanza. In effetti, la figura di una donna è lei stessa basa sulla forma arrotondata del piatto e i seni rotondi sono simboli dei suoi poteri nutrienti. Nell’estetica indiana, dove appare il piatto, si dà l'idea della vita e della abbondante fertilità che nutre e sostiene l'universo.

Il secondo aspetto distintivo della iconografia di Ganga è il suo animale supporto, che spesso la serve come piedistallo. Questo è il makara, una creatura ibrida dal corpo di un coccodrillo e dalla coda di pesce. Nel pensiero induista il makara corrisponde al segno zodiacale del Capricorno dell'astrologia occidentale. Il coccodrillo è un animale unico in quanto può vivere in terra e in mare. Esso denota quindi la saggezza sia della terra che delle acque.

Il pesce è allo stesso tempo un simbolo universale di fecondità e delle proprietà vivificanti dell'acqua. Esso rappresenta la vita nel profondo e l'acqua profonda è riconosciuta nella filosofia indiana come intangibile e infinita consapevolezza, la fonte di ogni istinto creativo. È interessante notare che, quando è rappresentato in questo modo, la coda dell'animale ibrido è spesso mostrato trasformata in modelli di vegetazione lussureggiante, ulteriore elemento che associa Ganga alla crescita vegetativa e la fertilità. Essendo il makara anche la cavalcatura di Varuna, il dio vedico delle acque, conferma così saldamente le radici vediche di Ganga.

Ganga e il tempio indù

Non è raro incontrare l'immagine di Ganga che fiancheggia la porta di un tempio indù. C'è una ragione profonda dietro questo posizionamento. 
Esiste un continuo e mutuo legame tra tra i due mondi: l’origine celeste di Ganga e la discesa sulla terra del suo intermediario. La sua posizione sulla soglia di un tempio è appropriata in quanto collega il mondo degli uomini e il mondo degli dei e rappresenta una transizione tra i due. 
L’icona di Ganga sulla soglia implica anche la sua condizione come un dispositivo di rimozione di impurità. Prima di entrare nel regno sacro degli dei, ciò che il tempio rappresenta, i devoti dovrebbero prima ripulirsi delle impurità mondane. Spesso Ganga è accompagnata sull’uscio da Yamuna, un suo affluente. Si ritiene che l’ingresso di un tempio incorniciato dalle immagini di queste dee pulisca simbolicamente i devoti attraverso le acque purificatrici di questi due fiumi. In una deliziosa licenza artistica, le correnti e le increspature delle loro acque fluenti sono ampiamente riflesse nelle posizioni dei loro corpi ondeggianti. In effetti, guardarli corrisponde a tutti gli effetti ad un bagno rituale nelle loro acque.

Conclusione

L'intensa devozione e l'amore che i devoti offrono a Ganga è in larga misura dovuta al fatto che lei è l'unica entità fisica accessibile che scorre sia nei cieli che sulla terra. Ganga è infatti la grazia divina che scorre nel nostro mondo materiale, come è visibile nella prosperità delle regioni adiacenti alle sue fertili sponde ricche di colture. La conseguente deificazione di Ganga, sia come madre nutrice che come un guardiano del tempio indù, non è che una naturale evoluzione, quando dalle profondità della mente umana scaturisce un'ode naturale alla sua natura benigna che si manifesta in tutte le diverse espressioni artistiche.

Riferimenti e Approfondimenti

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giovedì 14 marzo 2013

Allergie e Ayurveda

Si avvicina la primavera e per molte persone questo periodo dell'anno coincide con l'insorgere di malesseri anche piuttosto gravi noti come allergie. 
Ecco un interessante articolo tratto dal blog della SNA Oushadasala di Thrissur che descrive egregiamente l'approccio dell'Āyurveda a questo genere di problematiche. 

Un'allergia è un disturbo del sistema immunitario. Le reazioni allergiche si verificano quando un sistema immunitario ipersensibile reagisce ad una sostanza comune o insolita.
L'allergia è una ipersensibilità a determinati stimoli o sostanze come farmaci, cibi, sostanze irritanti presenti nell'ambiente o condizioni quali temperatura e condizioni atmosferiche. Questi agiscono come antigeni dando luogo ad una reazione nel corpo che comporta la produzione di alcune sostanze come l'istamina.
L'allergia può essere ereditaria in certe persone, ma può verificarsi in qualsiasi momento della vita.