mercoledì 1 agosto 2012

Un Dinacarya per la Terra (2)


Tratto da "Geologia, Gaia, Ayurveda: uno sguardo sul pianeta vivente", tesi di Diploma di Stefano Pisano presso la Scuola di Medicina Ayurvedica Ayurvedic Point, Milano Giugno 2010.

... non farà molto per trattenere dentro di sé quei Dosha viziati che sono responsabili del suo stato patologico. Noi abbiamo la possibilità di interpretare dei fenomeni e di individuare dei possibili rimedi. La capacità di questa analisi richiede la centratura di colui che pratica l'osservazione non diversamente da quella che mi serve per potermi avvicinare ad un altro umano.

L'Āyurveda e i suoi Maestri ci insegnano come la malattia sia indotta da Prajñaapāradha, Asātmyendriyārtha samyoga e Kāla-parināma e come il mantenimento della salute si ottenga con la pratica igienica quotidiana, il Dinacarya. Il concetto di Dinacarya per la Terra è stato lanciato, letteralmente come un seme da far crescere, durante il discorso tenuto da Carmen Tosto all'apertura del Sahajeevanam Exibition 2009 di Thrissur, il convegno che prende il nome dal concetto espresso nel termine “sahajeevanam” approssimativamente traducibile come “coesistenza” in contrapposi- zione a “sopravvivenza”, intesa come darwiniana sopravvivenza del più adatto. Nel concetto di Sahajeevanam si pone l’accento sul fatto che ognuno ha il diritto di vivere, per questa ragione l’ordine sociale non può esser basato sulla competizione. Prendendoci cura di termini così impegnativi proviamo a vedere cosa questo può significare.

L'uso errato della ragione: lasciarsi guidare da un concetto errato senza ritenere di dover approfondire, di dover conoscere, ciò che, incontrandosi col potere, conduce al malgoverno. Il pensare erroneamente che la Terra sia semplicemente terra, materia inerte che giace sotto i nostri piedi, materiale da rimuovere per creare fondazioni di infrastrutture, da spogliare dalle compagini biotiche per far spazio a colture agricole e zootecniche aliene, geometrie da modificare per rettificare corsi di fiumi cui viene impedito di relazionarsi correttamente con i tessuti di supporto. Sistematicamente all’indomani di un'alluvione o di un evento franoso i superstiti raccontano che là dove c'era il paese antico, non si è mai verificato alcun disastro. Fino ad un tempo non troppo lontano, quando la casa era essenzialmente il posto dove vivere, la pratica edilizia seguiva regole antiche di secoli, nella pratica costruttiva come nella localizzazione dello stabile. I materiali erano in stretta connessione con la natura: pietra, legno, fango. Una casa costruita con un materiale apparentemente inconsistente e degradabile come i blocchi di fango e paglia semplicemente essiccati al sole è in grado di sfidare i secoli. Non altrettanto possiamo dire di un analogo manufatto in calcestruzzo armato. L'importanza delle qualità connesse con la lentezza qui emergono in tutta la loro potenza. Lentezza nella costruzione, lentezza nello trasmettere l’informazione caldo/freddo, lentezza che si trasmette agli abitanti. Qualità mai tenute abbastanza in considerazione nel nostro tempo frettoloso e superficiale, ci esprimono ciò che si sviluppa con lentezza, ma con peso, consapevolezza, attenzione. Che enorme contrasto con le qualità dei manufatti moderni realizzati a base di acciaio e vetro, così squilibrati nelle qualità, Rūkṣa, Kathina, peculiarità di Vāta che è per sua natura fragile e impermanente. Non deve quindi stupire se numerosi manufatti moderni vengono realizzati per essere abbattuti entro trenta anni o meno. Vāta che soffia incendiando ulteriormente sul Pitta degli ambienti industriali e post industriali, che lo asciuga senza raffreddarlo, se non nelle relazioni interpersonali.

La lentezza che invoco non sia da confondere, per chi esige tutto e subito, con inettitudine o indecisione. Ogni cosa ha bisogno del suo tempo come la lentezza che abbiamo visto nel movimento delle placche oceaniche: esse non sono né incapaci né poco determinate. Il giusto tempo è stare nel Dharma. La lentezza è parte integrante dei processi naturali e consapevoli, la lentezza è qualità di Kapha, la lentezza equilibra Vāta che dai testi è in indicato come responsabile della maggior parte delle malattie proprio per la sua velocità a disequilibrarsi. Il cammino di ricostruzione pertanto non può trovare soluzione in un procedimento affrettato, improvvisato sull’onda di emotività da assecondare più per esigenze di scranno politico cui fanno sponda iniquizie economiche e sociali. Una presa di coscienza globale dovrebbe essere la via per il ristabilimento dell’equilibrio: se non sono consapevole della mia malattia non posso mettermi alla ricerca di una cura.

Ostinarsi a vivere la stagione sbagliata, ritenere che le stagioni siano semplicemente una serie di cifre su un calendario, creare ambienti a clima forzato per noi, nelle nostre case e nei nostri ambienti di lavoro. Soddisfare la pretesa di fragole a Dicembre perché “sono buone” o di mango in Italia perché “fa esotico” richiede un dispendio energetico enorme, il viaggio aumenta Vāta ed effettuarlo richiede di bruciare carburanti aumentando Pitta e tutto questo per ottenere dei frutti che oltre tutto non hanno potuto maturare sul loro albero obbedendo al loro Dharma e non hanno potuto ricevere quelle virtù che ne fanno degli alimenti buoni per noi.

Rieducare i nostri sensi alle sensazioni autentiche nella relazione con l'ambiente, con le altre persone e con noi stessi. I Sensi sono il nostro strumento di relazione col mondo e lasciandoli impazzire falsiamo automaticamente il nostro rapporto con l'ambiente: non abbiamo più parametri di paragone, non capiamo più cosa è buono e cosa no. E in tutto questo disordine l'Ego si scatena come un hooligan allo stadio ritenendo anche di essere nel diritto.

La buona pratica igienica quotidiana per Gaia dovrebbe risiedere nel realizzare quelle forme di relazione col territorio tali da mantenere la condizione di omeostasi. Il fondamentale bilanciamento Sīta/Uṣṇa e Snigdha/Rūka che è alla base di tutti i sistemi, dal corpo umano al motore a scoppio sono mantenuti in equilibrio omeostatico da queste due relazioni, va ripristinato. Come gli uccelli che semplicemente mangiano il frutto e lasciando cadere il seme si assicurano nuovo cibo dovremmo porre consapevolezza e lasciare cadere i semi senza stare lì a vedere se cresce oppure no. Il seme sa qual è il suo Dharma e germoglierà e darà frutto nella giusta stagione.

La conoscenza delle Scienze Naturali non può essere meramente sostituito o efficacemente supportato da applicazioni razionaliste e meccaniciste. La conoscenza della complessità dell'ambiente vivente non può sopportare livelli di semplificazione estrema, pena il deterioramento della conoscenza stessa e la non percezione della sua essenza principale. Tralasciando le semplificazioni, di cui non sentiamo il bisogno, e il nichilismo dell'impossibile mi sentirei semplicemente di affermare che la mia grande scoperta personale nell'intraprendere il cammino nell'Āyurveda è stato comprendere che la sua saggezza può diffondersi talmente in profondità in ogni aspetto della vita umana da coinvolgere perfettamente anche l'interezza dell'ambiente in cui viviamo. Il nostro macrocosmo si svela a questo punto come un ulteriore microcosmo all'interno di un macrocosmo più grande in cui tutte le dottrine filosofiche afferenti all'Āyurveda risultano egualmente applicabili in maniera olografica. In questo modo potremmo aprire e chiudere scatole cinesi all'infinito esplorando infiniti sistemi.

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