mercoledì 1 agosto 2012

Un Dinacarya per la Terra (1)

Tratto da "Geologia, Gaia, Ayurveda: uno sguardo sul pianeta vivente", tesi di Diploma di Stefano Pisano presso la Scuola di Medicina Ayurvedica Ayurvedic Point, Milano Giugno 2010.


C'è qualcosa nell'Universo che ci guida? C'è qualcosa che fa si che tra migliaia e migliaia di pagine in una ricerca bibliografica ad un certo punto di apra proprio quella che sarebbe per altri versi potuta rimanere chiusa? C'è qualcosa che fa si che fra tutte le persone con cui avrei potuto parlare, proprio quell'amico in quel momento doveva pronunciare la parola Āyurveda e deviare così il mio cammino fin qui? 


Avvenimenti simili a questi ci passano accanto e come oscillazioni impercettibili entrano in risonanza con i nostri atomi, offrono nuove possibilità ai nostri comportamenti. Così come abbiamo visto che nessuna variazione nel corso di un fiume, per quanto impercettibile, rimane del tutto senza conseguenze, allo stesso modo nessuna parola può lasciarci completamente indifferenti. Una parola scritta o pronunciata non è che una forma di energia formulata secondo un codice che siamo in grado o meno di decifrare a diversi livelli semantico, simbolico, emotivo.

Ciò che percepisco da queste osservazioni è che se l'Āyurveda è stata data agli uomini per poter mantenere la salute e poter perseguire i quattro scopi della vita, Dharma, Artha, Kāma e Mokṣa, ciò deve essere applicabile con la stessa intensità per mantenere la salute dell'ambiente che ci ospita. Maturare la consapevolezza che in qualità di comunità vivente maggiormente incidente sulla distribuzione della Vita sul Pianeta abbiamo la responsabilità di mantenere l'organismo vivente in salute. Non esistono luoghi dove rifugiarci nelle città, la città come è stata concepita non è che un abbellimento dell'ambiente desertico in cui macchine termiche a ciclo continuo consumano risorse energetiche e immettono nell'atmosfera componenti alieni in qualità e quantità non compatibili con la vita.

Non viviamo in un ambiente perfetto, il mondo materiale e senziente per sua natura non lo è e questo fa si che il bilanciamento dei Dosha regola la costituzione e gli squilibri anche della Terra, ma possiamo esercitarci nel perseguire quei comportamenti che possono aiutare l'ambiente e quindi noi stessi a tornare in condizioni di equilibrio. L'equilibrio non è la stasi. L'equilibrio è dinamismo. Senza dinamismo vivremmo una condizione non concepibile, gli atomi che occupano i vertici della cella elementare di un cristallo vibrano in continuazione attorno ad un punto di equilibrio, al cessare della vibrazione la materia si troverebbe in quello stato che ai fisici è noto come zero assoluto. Le molecole e gli atomi di un sistema si troverebbero al più basso livello di energia possibile e il sistema avrebbe il minor quantitativo possibile di energia cinetica permesso dalle leggi della fisica. E' uno stato della materia non raggiungibile nella pratica. Per raffreddare un sistema allo zero assoluto si richiederebbe un’energia infinita per cui il livello energetico più basso raggiungibile da un atomo è livello energetico cosiddetto del punto zero che, pur essendo infinitesimo, non è mai nullo. Ma se posso pensare che lo zero assoluto sia l'estrema espressione di Tamas allora è chiaro che lo zero assoluto è uno stato della materia che non è raggiungibile perché tutto avviene e ha senso perché esiste anche un'intelligenza chiamata Vāta che intrinsecamente è movimento e deve convivere con un'altra intelligenza chiamata Pitta che è principio di trasformazione.

Come i batteri abitano il nostro corpo permettendoci di realizzare quei processi digestivi e di trasformazione in genere che trasformando l'eterologo in omologo ci mantengono in vita, allo stesso modo noi per la terra non siamo che una sorta di coltura batterica che con le sue aggregazioni e relazioni con i substrati e con le altre comunità viventi ne stabiliscono l'equilibrio o lo stato patologico. La terra non ha un polso da poter auscultare come possiamo averlo noi umani, ma l'Āyurveda non ha bisogno di polsi, come non ha bisogno di TAC. La percezione dell'individuo deve guidare nella sua conoscenza. Tutto il resto non è che uno strumento di verifica di ciò che abbiamo sentito. C'è quindi da chiedersi quanto siamo disposti a sentire della nostra Terra per poterne capire lo stato di salute o di malattia o è preferibile pensare di essere a bordo di un astronave dalla quale possiamo scendere se non ci piace più il viaggio? Non esistono altri mondi dove andare. Non perché non esistono materialmente nell'Universo, penso che ormai sia banale chiedersi se esistono, ma perché se anche fossero raggiungibili dovremmo chiederci, e sforzarci di darci una sincera risposta, che diritto abbiamo di pensare che siano a disposizione per noi? Andiamo a sbarcare su una nuova Hispaniola? Troveremo ancora altri indigeni a cui raccontare che siamo “mandati da Dio”? Un qualunque libro di storia ci potrebbe ispirare la soluzione del quesito.

La Terra, Gaia, ha in sé, in quanto vivente, la capacità di tessere tutte quelle relazioni che possono far si che possa guarire dai suoi squilibri che continuamente avvengono mantenendosi coerente con la propria Prakṛti. Le modalità di come questo può avvenire possono esser lette attraverso la chiave dell'Āyurveda. Come il corpo umano entro certi limiti espelle da solo i suoi Dosha viziati, allo stesso modo Gaia ricrea un nuovo stato di equilibrio, ma noi non siamo il centro di questo sistema,  ne facciamo parte e non è assolutamente detto che a noi vada bene. Non siamo al vertice di una millantata piramide alimentare, siamo un punto sul luogo geometrico del cerchio delle nascite e rinascite il cui Prāna e Agni sono gli elementi fondanti: l’energia vitale e il principio di trasformazione.

Il corpo umano che in una condizione di squilibrio si auto induce il vomito ... (continua ...)

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